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«Nulli certa domus, lucis habitamus opacis»
Verg., Aen, VI, 673

Fra i significati che la selva ha per l’uomo scarto subito quelli – diciamo così – negativi. Quelli dell’Inferno. Dove l’oscurità significa ignoto, dunque pericolo.
Da cui uscire per salvarsi. Per guarire tornando nella luce, davanti al consolante tremolar della marina.

Non è questo. Penso invece all’accezione positiva. Al luogo a cui l’uomo, il grande sopraffattore nazista di questa Terra, deve restare estraneo. O al più avvicinarsi in suprema levità.

La sylva diviene così una categoria dello spirito.
Un altro Dante (Purg., I, 134-136):

oh maraviglia! che qual egli scelse
l’umile pianta, cotal si rinacque
subitamente là ond’e’ l’avelse

ci dice della redenzione in-nocente: ultraterrena, impossibile. Non può né deve morire neppure “l’umile pianta”, o deve comunque rinascere: subito; in quello stesso luogo; uguale a se stessa.
Trascuro ovviamente i possibili segni simbolico-esoterici, pur frequentissimi nella Commedia1