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1. Le pagine che seguono vogliono, senza alcuna pretesa di completezza, offrire solo qualche spunto di riflessione derivante dalla lettura del volume di Sergio Perongini su “L’abuso d’ufficio. Contributo a una interpretazione conforme alla Costituzione. Con una proposta di integrazione della riforma introdotta dalla legge n. 120/2020”. Un lavoro nel quale l’Autore, nell’analizzare la fattispecie di reato nell’ennesima riformulazione offerta dal legislatore nell’intervento 2020, offre una rilettura critica che induce a riflettere, in una dimensione complessiva, sul corretto esercizio della funzione amministrativa e sui rischi di deviazione che sono correlati ad ogni esercizio di potere, contribuendo a individuare i limiti, i confini entro i quali anche lo stesso giudice penale dovrebbe muoversi, evitando pericolose contaminazioni che avrebbero come unico effetto quello di generare momenti di frizione che impatterebbero negativamente anche sulla stessa macchina pubblica, allontanando, frustrando il raggiungimento di quegli obiettivi dichiarati che l’intervento riformatore della fattispecie dell’abuso di ufficio intendeva perseguire.
Il volume presenta una doppia anima, amministrativa e penale, che viene ampiamente valorizzata e bilanciata nel contesto dell’analisi condotta dall’amico Perongini e che rispecchia proprio la doppia anima del suo Autore. Ed è proprio questa doppia anima che a mio avviso rappresenta il valore aggiunto del volume in quanto fornisce le chiavi interpretative indispensabili quando ci si avvicina a fattispecie che l’agere publicum rispetto a un reato che forse più degli altri è stato vittima di quel populismo penale degli ultimi tempi sul quale si è per lungo tempo soffermata la dottrina (ad es. N. Pisani). Populismo che in un certo senso è stato aggravato dalla matrice emergenziale dell’ultimo intervento normativo che, come molti degli interventi dettati dall’emergenza, si focalizza sugli effetti, sui sintomi, e non sulle cause della malattia.

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