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1. La lettura del libro di Chiara Viale, avvocata del Foro di Milano, sulla vita e la vicenda professionale di Lidia Poët, si presenta interessante sotto diversi aspetti. Innanzitutto, l’A. ci regala una prosa scorrevole e piacevole, accompagnandoci dentro la storia di una donna particolare e tenace; siamo così guidati nella esistenza di Lidia, che, come la stessa A. afferma, parla e ci parla direttamente (p. 21). Vi è poi una descrizione di luoghi ed episodi accurata ma non tediosa, nella quale gli elementi riportati mirano a farci vedere e a farci vivere ciò che Lidia vedeva e viveva. Possiamo, in tal modo, vestire i suoi panni e provare le sue emozioni.
Un secondo elemento di pregio è dato dalla ricostruzione pacata della storia della prima avvocata italiana. Vi si legge una difesa della causa femminile, una denuncia della discriminazione motivata dal sesso, ma senza accenti davvero polemici o atteggiamenti militanti, esattamente come mai polemiche e militanti furono le parole e le azioni di Lidia. Un aspetto interessante a riguardo, cui l’A. da giusto rilievo, è l’atteggiamento dei colleghi di Lidia, quando frequentava il corso di Giurisprudenza dell’Università di Torino, prima donna del Regno d’Italia: “I compagni di corso non l’accolgono affatto male”, erano “sempre
rispettosi e cortesi, tanto che quando lei arrivava in aula, smettevano di fumare e di «schiamazzare»” (p. 30). Così anche i professori, che la trattavano “in maniera benevola ed equanime” (p. 30). Si può cogliere qui come, benché si fosse alla fine del 1800, l’idea che una donna frequentasse un corso di Giurisprudenza e potesse giungere alla laurea non era completamente peregrina; certo suscitava sorpresa, ma almeno nel contesto universitario torinese, nessun pregiudizio o rifiuto aprioristico.
Un altro profilo è degno di attenzione in questa prospettiva. Si tratta delle scelta del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino di iscrivere la dottoressa Poët, che si era laureata nel 1881 e che aveva superato l’esame di abilitazione per la professione di avvocato nel 1883, all’Albo degli Avvocati di Torino, nello stesso 1883. Certo, non una decisione unanime, l’A. ci parla di “una seduta infuocata” “in quell’afoso pomeriggio del 9 agosto 1883” (p. 37), alla quale seguirono le dimissioni di alcuni consiglieri; ma una decisione limpida, che rifiutava le motivazioni contrarie, espressione di paludosi pregiudizi e luoghi comuni del passato, con otto voti a favore e quattro contrari.
Nella descrizione dell’A. emergono la moderazione e l’equilibrio di Lidia, che possono cogliersi già nel suo percorso di studi. Benché volesse frequentare il liceo classico per studiare il latino, decise di sottostare alla volontà della famiglia e intraprese gli studi per diventare maestra. Ma era solo una strategia, poiché, conclusi quelli, chiese e ottenne di iscriversi al liceo classico; e successivamente frequentò l’università, prima la facoltà di medicina, poiché la professione medica era allora già aperta alle donne, per poi cambiare, approdando finalmente al corso di giurisprudenza. Tutto ciò, però, avvenne senza lacerazioni o conflitti: Lidia accetta e obbedisce, ma riesce a convincere, con il suo impegno e la sua passione, l’intera famiglia a lasciarle realizzare il suo obiettivo, dandole l’appoggio.