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1. È ben noto che ogni sistema costituzionale è chiamato ad adattarsi ai processi di cambiamento che attraversano la società, rispondendo alla complessità sempre crescente dei bisogni che essa esprime, sul piano tanto politico-sociale quanto istituzionale.
Anzi, di potrebbe dire, è propria delle costituzioni democratiche la capacità di modellarsi su quei processi di cambiamento, mantenendo nel tempo la propria vitalità e realizzando l’indispensabile equilibrio tra esigenze di stabilità ed esigenze di cambiamento, per mezzo del procedimento di revisione, così come di attuazione della costituzione.
Tuttavia, questo percorso di adattamento deve muoversi all’interno del disegno costituzionale cioè di quel quadro minimo ed essenziale, e per questo fondamentale, che ogni costituzione traccia. Sotto questo profilo, va, innanzitutto, ricordato che qualunque intervento di modifica dell’impianto costituzionale deve iscriversi all’interno del potere di revisione, che è potere costituito, e, come tale, da esercitarsi nell’ambito e nel rispetto di quel quadro minimo prima richiamato, non potendo mai risolversi nel suo sovvertimento, poiché ciò sarebbe esercizio di un nuovo potere costituente, a seguito della rottura della costituzione vigente.
In questa prospettiva, va anche chiarito che non si vuole con ciò negare tout court la possibilità di cambiare la costituzione, cosa che può ben essere opportuna e talora necessaria – e vanno qui riprese le parole del Presidente della Corte Costituzionale A. Barbera, a proposito della revisione della forma di governo: “Rivedere la forma di governo non solo è legittimo ma è necessario” 1
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