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Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana stiamo assistendo ad una sospensione assai prolungata di diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione. L’emergenza consente la sospensione di alcuni diritti e libertà costituzionali per salvaguardarne altri. Peraltro, la Corte costituzionale ha affermato in più sentenze l’equivalenza dei diritti costituzionali1, pur avendo del pari riconosciuto che il diritto alla vita è “il «primo dei diritti inviolabili dell’uomo»

[…] in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri”2.

Per una parte importante della pandemia la sospensione dei diritti di libertà e la sospensione del diritto al lavoro sono state giustificate proprio dall’esigenza di salvaguardare il diritto alla vita, quale diritto principe e irrinunciabile garantito dalla nostra Costituzione. L’emergenza, però, come è chiaro dalla giurisprudenza costituzionale, deve necessariamente avere il carattere della temporaneità3; in caso contrario, si trasforma in normalità. Se una condizione è duratura e stabile nel tempo, certamente non può più dirsi emergenza. Va anche considerato che la variante “Omicron” ha introdotto alcune novità nello scenario sanitario, in quanto si è dimostrata di letalità assai inferiore rispetto alle varianti precedenti. Grazie anche alla diffusa vaccinazione e alla massiccia immunizzazione che complessivamente coprono più del 90% della popolazione sopra i 12 anni, l’indice di diffusione del virus è ora stabilmente sotto 1. Si pone perciò il problema di stabilire se sia ancora così stringente ed emergenziale la necessità di sacrificare diritti fondamentali di notevole importanza quali libertà e lavoro.